Premetto che le osservazioni che seguono provengono dall’esperienza del Centro di ascolto Caritas e dal confronto con enti locali o del terzo settore.

 

Ormai quanto si poteva prevedere e si temeva accadesse sta accadendo: l’epidemia ha effetti perversi sulla condizione di vita di molte persone, perché colpisce categorie già deboli e perché ne crea di nuove. Naturalmente in primo luogo c’è la sofferenza legata alla malattia e al lutto per la perdita di persone care, una realtà che è sotto i riflettori della comunicazione ogni giorno. Poi c’è l’impatto sulla vita quotidiana e il quadro delle povertà vecchie e nuove: vi sono persone e nuclei familiari che faticavano ad arrivare alla fine del mese o del tutto privi di reddito e che ora vedono aggravarsi la propria situazione. Infatti, per coloro che avevano difficoltà a pagare regolarmente affitti e bollette, la situazione si è appesantita a causa della perdita di attività lavorative (spesso non un vero lavoro, ma alcune ore fatte di qua o di là, talvolta in nero). Per chi  ha dovuto interrompere l’attività a causa delle norme sulla prevenzione del contagio e non riesce più a far fronte al livello di vita precedente la situazione è del tutto nuova: è il caso di chi ha investito su un’attività in proprio e non è ancora riuscito ad avere risparmio sufficiente per ammortizzare le perdite.

 

Poi vi sono le imprese che hanno dovuto lasciare a casa i propri dipendenti. Certo si attendono gli aiuti di Stato per le imprese e per i lavoratori tramite gli ammortizzatori sociali, in parte già stanziati con gli ultimi decreti governativi, ma i tempi di erogazione potrebbero non essere immediati. C’è anche il rischio per alcune imprese di andare fuori mercato e di essere costrette a chiudere. In alcune famiglie dove le fonti di reddito erano più di una, ma tutte limitate, il venir meno anche di una sola determina difficoltà reali. Infine, per i contratti di lavoro a chiamata non vi è alcuna sicurezza. Vi sono anche alcune famiglie che operano nel settore degli spettacoli viaggianti e che sono del tutto prive di reddito a causa del protrarsi del blocco. Questo spiega perché sono cresciute le richieste di pacchi alimentari o di contributi per spesa alimentare e di pagamento di utenze domestiche e di affitti o spese condominiali.

 

Le risorse recentemente stanziate dal governo per i Comuni al fine di erogare contributi per spesa alimentare hanno fatto registrare moltissime richieste e ciò pone oggettive difficoltà alle amministrazioni, costrette ad una selezione delle priorità dei bisogni. La Caritas non è in grado da sola di fare fronte a tutte le necessità, ma collabora con gli enti locali per l’accompagnamento dei casi di maggiore fragilità.

 

Una povertà certo non nuova, ma che oggi riveste nuovi significati è quella dei senza dimora. In tempo di epidemia, mentre tutte le indicazioni fornite dalle autorità si sintetizzano nell’obbligo del distanziamento sociale e di restare in casa, queste persone, di numero limitato nel nostro territorio, ma presenti e con un quadro multi facciale (mancanza di casa, di reddito, di relazioni familiari, dipendenze varie) sono prive di riferimenti e di tutele. In questo momento si sta avviando nella città di Belluno una collaborazione tra Comune e Caritas per l’accoglienza di alcuni senza dimora finalizzata ad un progetto di accompagnamento individuale.

 

All’interno di questa categoria vi è poi il caso degli immigrati o richiedenti asilo senza protezione che vivono in condizioni di estrema precarietà. Alcuni sono ospitati nel piccolo dormitorio Caritas di Casa Emmaus a Belluno e nelle strutture di accoglienza di Via Nassa a Feltre. E’ del tutto illusorio che sia sufficiente un provvedimento di non accoglienza della domanda di asilo da parte della Commissione di Treviso perché la persona possa rientrare nel proprio Paese. Pertanto in mezzo a noi vi sono degli invisibili che in tempi come questi vivono in condizioni ancora più precarie di sopravvivenza quotidiana. La Caritas interviene ove possibile, ma anche i progetti instaurati con enti del terzo settore per il sostegno alle esigenze abitative e di lavoro trovano ora difficoltà a causa della sospensione dei tirocini effettuati con fondi regionali.

Sarebbe necessario un maggiore coinvolgimento da parte delle istituzioni nel reperimento di alloggi provvisori, così come sarebbe auspicabile una maggiore sensibilità da parte dei proprietari di abitazioni per venire incontro alle esigenze di chi cerca casa avendo già un lavoro.

 

Una considerazione conclusiva, ma per definizione aperta … Quando tutto questo sarà finito dovremo chiederci quale sarà stato il tasso di solidarietà messo in atto nel momento più acuto della crisi. Mi sentirei di suggerire che si percorra da subito la via della solidarietà e della collaborazione tra pubblico, privato e terzo settore, comprendendovi  con un ruolo tutto particolare la Chiesa. Ne va della dignità di ogni persona, specie di quelle più fragili, e della coesione e della armonia sociale.

 

 

Francesco D’Alfonso diacono

 

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