Iniziato l’8 febbraio con un ampio cerchio di persone e una foto curiosa da “far parlare”, il percorso sulla “giustizia riparativa” si è snodato lungo tre giornate interessanti e stimolanti, che hanno aperto domande e uno sguardo nuovo sul tema “giustizia” nell’ambito delle nostre comunità.

L’iniziativa è stata proposta dalla Caritas diocesana all’interno delle attività di Progetto Esodo (area Formazione), programma che dal 2011 vede la nostra diocesi, assieme alle diocesi di Verona e Vicenza, impegnata in attività di reinserimento sociale della persona detenuta o ex detenuta nella fase dell’uscita dal carcere. A Fondazione Esodo, nata nel 2016 a sostegno dell’omonimo progetto, si sono aggiunte nel 2019 la Diocesi di Venezia e nel 2020 la Diocesi di Vittorio Veneto e attualmente vi aderiscono anche 23 enti del terzo settore. 

Questo Corso si è potuto realizzare grazie alla rete con diversi Enti del territorio coinvolti nell’inter-tavolo “Percorsi di Giustizia, Comunità e Riparazione” all’interno dei Piani di Zona.

 

La proposta formativa è stata coordinata, nelle giornate del 13 e 14 marzo al Centro di spiritualità Papa Luciani di Santa Giustina, da Alessandro Ongaro, pedagogista della diocesi di Verona, e, nella prima fase, anche dalla psicologa Erica Serlini di Brescia, entrambi diplomati al Master “Giustizia riparativa e mediazione per il benessere di persone e comunità” dell’Università di Sassari e impegnati professionalmente in attività nelle carceri e nelle scuole.

https://caritas.diocesi.it/14c05f14-3840-438f-afae-fd7c0aaef1fa" alt="Text Box: La giustizia riparativa è una forma di risoluzione del conflitto, complementare al processo, basata sull’ascolto e sul riconoscimento dell’altro con l’aiuto di un terzo imparziale chiamato “mediatore”. Con la restorative justice non si cerca di ottenere la punizione dell’autore del reato ma piuttosto di risanare quel legame con la società spezzato dal fatto criminoso. Si instaura così un contatto diretto tra offeso e offensore, il quale permette al primo di esprimere i propri sentimenti ed emozioni in relazione alla lesione subita, e al secondo di responsabilizzarsi.
I partecipanti, anche da fuori provincia e appartenenti a diversi ambiti lavorativi  (avvocati, educatori, assistenti sociali, volontari della carità, insegnanti e dirigenti scolastici),  hanno condiviso fin dall’inizio dell’esperienza aspettative, desideri di approfondimento del “ruolo” della giustizia riparativa all’interno della nuova riforma Cartabia (d.lgs. 150/2022), ma soprattutto il bisogno di cogliere la novità e il valore dell’approccio personale e della comunità alle situazioni conflittuali attraverso questo metodo.

 

Chiamati a mettersi in gioco attraverso il dialogo e confronto, simulazioni, filmati, narrazioni personali, valutazioni di fatti, i corsisti si sono lasciati interrogare dai principi e valori riparativi, per uscire dalla mentalità “retributiva” (applicazione della legge – “pena”) per sostituire la domanda “come dovrebbe essere punita una persona che ha commesso un reato o un danno?” con un’altra domanda, “cosa è necessario fare per riparare il danno?”.

Il rispetto per la dignità umana, la solidarietà e la responsabilità, la giustizia e il rendere conto, la verità da raggiungere attraverso il dialogo: valori che mettono al centro tutte le persone coinvolte in un conflitto, senza l’obiettivo di avere sconti di pena, ma per rispondere ad esigenze più profonde, per far maturare consapevolezza e responsabilità,  per un atteggiamento che ricrea legami sociali, apre a nuove possibilità di relazione e di integrazione nella società, per far crescere le persone e risolvere i problemi, senza negare i risarcimenti dovuti.

 

La giustizia riparativa non è una mappa, ma una bussola che indica la direzione, favorisce un clima di ascolto attivo, di educazione delle emozioni; esige coraggio e tempi lunghi per diventare “stile riparativo” diffuso. La figura giuridica del mediatore aiuterà a coltivare la fiducia reciproca, a garantire la sicurezza tra le persone coinvolte, a maturare il rispetto che dona riconoscimento e richiama alla responsabilità personale e comunitaria.

In un contesto simile ci sta l’indignazione per l’ingiustizia, il riconoscimento della sofferenza delle vittime e dei colpevoli, l’accettazione dell’errore, la considerazione “positiva” del fallimento.

 

Nel dialogo finale il ringraziamento dei partecipanti ad Andrea Genuin e a Francesco D’Alfonso per l’organizzazione del Corso – di fatto una tappa di un itinerario - e l’annuncio del prossimo passo per portare avanti la cultura della giustizia riparativa: redigere un Manifesto, far conoscere le iniziative già avviate e condividere materiali ed esperienze attraverso tre incontri onlinesensibilizzare alla tematica e coinvolgere persone e gruppi sul territorio.

Con la storia di san Francesco, che ha saputo affrontare il lupo di Gubbio in una prospettiva inedita e di reintegrazione nel villaggio, rimane aperta la domanda che sta a cuore a tutti: come prevenire le devianze, superare i pregiudizi, rimettere in relazione, attivare risorse, stare insieme nell’ottica riparativa? 

Paola Barattin

 

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