L’altro mi interessa è stato il tema dell’incontro di formazione per operatori e volontari Caritas svoltosi sabato 3 dicembre presso l’Istituto Agosti. Si è trattato del secondo incontro di quest’anno dedicato alla formazione “permanente” dei volontari, dopo quello di maggio, nel quale si era riflettuto sulle tre vie proposte da Papa Francesco alle Caritas in Italia nel 50° di Caritas italiana. All’interno di un percorso di uscita da sé, dall’individualismo e dall’indifferenza per aprirsi al noi di una comunità il cui stile sia la comunione, la corresponsabilità, la solidarietà, l’incontro ha proposto il tema dell’alterità, dunque della differenza, ma anche dell’unicità di ogni persona, che tuttavia, proprio perché persona, è capace di relazione e dunque di costruire ponti, creare attenzione, ascolto, accoglienza nei confronti dell’altro. Si tratta in fondo di riconoscere nella diversità la ricchezza della differenza e la bellezza del camminare insieme. 

Dopo l’introduzione del direttore della Caritas diocesana, il diacono Francesco, e la preghiera guidata dal vescovo Renato, ha animato l’incontro don Davide Schiavon, direttore della Caritas di Treviso, con alcune suggestioni frutto di una lunga esperienza nel mondo Caritas. Passare dall’io al noi è un processo, ha osservato don Davide, è sentirsi sempre in cammino con l’Altro, che è Dio e che dà pienezza ad ogni relazione. In questo processo sono necessarie quattro “vitamine”: 1) la pazienza, la capacità di lasciar crescere; 2) la fiducia, che mette in moto la dinamica della staffetta, la capacità cioè di consegnare all’altro il testimone; 3) la tenacia – oggi si ama dire resilienza – che è la capacità di stare, di abitare le situazioni e le relazioni; 4) la carità nelle sue tre sfaccettature: la carità è comunione, misericordia (la capacità di vivere la riconciliazione), condivisione. La vicenda di Caino e Abele dimostra che quando manca la capacità di comunicare una parola fraterna, allora nasce l’invidia, la gelosia e si resta prigionieri dell’individualismo. Nella vicenda di Caino e Abele, ha osservato don Davide, nemmeno Abele ha avuto una parola. Una relazione non fraterna è quella che oggi guasta le relazioni sociali e che rende impossibile la nascita di una comunità.

 

Nel cammino dall’io al noi si tratta di avviarsi verso una meta, da pellegrini, non da vagabondi. Si tratta di condividere un sogno, il sogno di Dio, ma poi di saper passare dal sogno al segno, il segno della fraternità. Allora sorge una domanda: siamo disposti a rinunciare al potere, ai privilegi che abbiamo? Solo allora la fraternità è possibile. Se caino e Abele hanno vissuto il passaggio dall’ospitalità – nel giardino di Dio – all’ostilità, oggi noi siamo chiamati a passare dall’ostilità all’ospitalità. Questo è possibile nella dinamica della reciprocità, che è il segno della fraternità. Occorre valorizzare la parola che arriva nelle forme più svariate, per riconoscere nell’altro il fratello. Se il “perché” è forte, ha concluso il relatore, il “come” si trova.

 

Voci per la pace Nella stessa sera di sabato 3 si è svolto nella chiesa di don Bosco, alla presenza del vescovo Renato Marangoni, il concerto di cori “Voci per la pace”: una preghiera nel canto, per invocare da Dio il dono della riconciliazione e della pace. L’evento, organizzato dalla Caritas diocesana con il coro delle famiglie di Cavarzano diretto da Monica Bez, il coro dei Cherubini, diretto da Emmanuel Avebe, il coro di don Bosco diretto da Beatrice Riccardi, il coro di Bolzano bellunese diretto da Daniela Casagrande, è stato presentato da Spiridione Della Lucia. Per tutta la durata del concerto una famiglia ucraina, che era stata a Belluno fino all’estate e aveva partecipato al Grest con la parrocchia di Cavarzano, è riuscita a rimanere collegata via internet, nonostante fino a qualche istante prima Leopoli, la città da cui si erano collegati, fosse completamente al buio. La chiesa era gremita di persone che si sono coinvolte appieno nell’atmosfera della serata, che non poteva non fare riferimento alle sofferenze di chi vive situazioni di guerra o di oppressione. Due testimonianze hanno proposto il dramma della guerra in Ucraina, con le dolorose conseguenze che gravano sulla popolazione civile, ma anche l’oppressione di un sistema di potere ingiusto e sordo alle attese della popolazione, come quello della Guinea. Alla fine molti hanno lasciato un’offerta che sarà devoluta, tramite la Caritas diocesana, alle necessità delle famiglie ucraine.

 

Francesco D’Alfonso diacono

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