Oltre dieci anni fa prestavo servizio volontario a L’Aquila su mandato delle Chiese del Nordest in gemellaggio con la diocesi locale dopo il terremoto. Ci fu allora, come spesso accade in simili circostanze, chi interpretò l’evento come una punizione divina, presumendo di poter ricavare questa chiave di lettura dei fatti dalle Sacre Scritture. In una delle frazioni in cui operavo si celebrava la Messa festiva in una tenda adibita a chiesa. Avevo notato che nessuno curava i canti, pur essendo la gente della tendopoli in gran numero appartenente alla stessa parrocchia. Chiesi se ci fosse stato un coro prima del terremoto e mi indicarono una ragazza come referente del canto liturgico. La incontro nella tenda refettorio e le chiedo come mai il coro parrocchiale si sia sciolto. Ci sediamo per mangiare e lei mi domanda a bruciapelo:”Secondo te, perché Dio ha voluto punirci così?”.

 

Era convinta che il terremoto fosse una punizione divina e per questo si era raffreddata nella fede e non aveva più voglia di servire la liturgia della comunità con il canto. Abbiamo parlato a lungo e ricordo di averle detto che no, Dio non ragiona come gli uomini ; anche se vi sono in diversi passi della Bibbia parole e situazioni presentate come punizioni divine, a partire dalla cacciata dei progenitori dall’Eden, occorre situarle nella cultura del tempo. Quella stessa cultura che fa dire ai discepoli in presenza del cieco nato che invoca guarigione da Gesù: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. Gesù risponde: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio …” (Gv 9, 2-3). Già nell’Antico Testamento sono numerosi i passi in cui il pensiero di Dio viene contrapposto a quello dell’uomo: Dio non si adira come l’uomo, egli non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva; tutta l’opera di Dio è per la salvezza dell’uomo. Esemplare al riguardo è la vicenda  del profeta Giona, inviato da Dio a predicare a Ninive.  I Vangeli e tutto il Nuovo Testamento poi sono la manifestazione chiara del disegno di Dio, che manda il suo Figlio per la salvezza del mondo. Gesù si carica sulle spalle il peccato degli uomini e offre la vita per loro! In questo tempo pasquale il messaggio del Vangelo è di una chiarezza luminosa!

 

Ricordo anche di aver detto alla ragazza quel giorno che se Dio aveva permesso quella prova dolorosa, la stava tuttavia trasformando in una occasione di bene, suscitando solidarietà e amore per le vittime del terremoto e chiamando da ogni parte d’Italia persone mosse da generoso spirito di servizio per alleviarne le sofferenze. Probabilmente si trattava di un invito alla conversione per  noi, più che per la gente del posto. Questa osservazione la colpì molto, come se avesse intuito solo allora che poteva esserci un altro modo di leggere gli eventi umani.

 

Ho ripensato a quella esperienza aquilana in questi giorni: anche ora c’è chi vede nella pandemia una punizione divina oppure pensa che Dio sia indifferente alla sorte degli uomini – e questa è una sensazione che possono provare coloro che hanno perso una persona cara e non hanno potuto nemmeno accompagnarne gli ultimi istanti -  e allora a queste persone, tentate di perdere la speranza, volgerei un invito a mettersi dalla parte di chi aiuta e serve con generosità il bene comune e i più deboli: sono tanti e non è detto che abbiano una motivazione religiosa, ma il loro esempio può essere seguito da chiunque, ciascuno secondo le proprie possibilità, anche solo telefonando a chi è in solitudine, interessandosi di chi è in difficoltà, magari pregando per tutti. In questo modo si alimenta la speranza, senza la quale non c’è futuro. Non sappiamo ancora molto del virus che sta scombussolando le nostre vite, ma possiamo apprezzare più a fondo il valore delle cose, degli affetti, del lavoro, della solidarietà come forma autentica delle relazioni.

 

D’altra parte, forse non sono pochi coloro che hanno sentito in questo momento una spinta a rivedere le priorità della propria vita quotidiana. Costretti a cambiare ritmo delle giornate e approcci relazionali, possiamo valutare quanto nelle nostre abitudini e in ciò che ritenevamo irrinunciabile possa invece essere rivisto o abbandonato. Ciò vale anche nella vita di fede: parecchi hanno lamentato la “rinuncia” da parte della Chiesa in Italia ai riti e alle celebrazioni, quasi si trattasse di un tradimento o di un cedimento dinanzi allo Stato e allo spirito mondano. Pensando alla Quaresima così insolita di quest’anno e alla Pasqua così sobria, viene da chiedersi se la penitenza quaresimale, a partire dalla mancata celebrazione delle Ceneri, non fosse già nelle cose, cioè nelle vite di tanti. A ricordarci che siamo polvere è bastato un piccolo virus sconosciuto e invasivo. Le migliaia di vittime negli ospedali e nelle case di riposo hanno segnato le Vie crucis di molte comunità e di molte famiglie.  E le nostre processioni, divenute in tanti casi espressioni di folclore o richiamo per turisti, e che forse non ci hanno mai spinto a chinarci sulle ferite dei nostri simili, sono state sostituite da cortei funebri di bare portate altrove per l’affollamento dei cimiteri. 

 

Ci siamo forse ritrovati a riflettere un po’ di più su quella Parola di Dio spesso ascoltata, ma non sempre vissuta, sulla chiamata ad occuparci dei poveri e dei deboli, sulla quale saremo giudicati un giorno, come si legge nel Vangelo di Matteo (cap. 25). Allora, anche se la Pasqua di quest’anno non è stata celebrata con la consueta festosità o non è stata accompagnata da vacanze e viaggi  in montagna o al mare, il suo significato rimane: un Uomo, che è il Figlio di Dio, ha attraversato l’oscurità del male e della morte per uscirne alla luce di una vita immortale e offre a ciascuno che voglia seguirlo lo stesso destino. L’ultima parola sulla storia e sulla vicenda umana non è il fallimento o il non senso, ma la salvezza, dono dell’Amore che ci ha creati. E’ questo che fonda la speranza e dà vigore ad una nuova fraternità, di cui il mondo ha bisogno. Forse la pandemia che stiamo attraversando può essere l’occasione per lasciarci alle spalle inimicizie e rancori, per agire con opere di giustizia e di pace, per cambiare in meglio le nostre relazioni, per farci carico di chi non riesce a tenere il passo. Ne saremo capaci? 

 

 

Francesco D’Alfonso diacono

 

 

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